“Quasi
7500 chilometri di litorali marini, 6000 di fiumi lunghi oltre i 100
chilometri, un dedalo di torrenti e di ruscelli, 2700 kmq di laghi, una
superficie difficile da quantificare di lagune, stagni e lanche.
Bastano
queste nude cifre per capire che cos'è, in Italia, la vita legata all'acqua.
La
cultura gastronomica italiana legata al pesce ha secoli di storia nella nostra
penisola/affonda le sue radici nella storia. Basti pensare al garum, una salsa di interiora di
pesce famosa ai tempi dell'antica Roma che prevedeva l'impiego di sgombri,
sardine e acciughe.
Gran
parte della nostra cucina è imperniata su piatti di pesce. Esiste a livello
regionale una grande varietà di pesci utilizzati e tecniche differenti per
cucinarli. Queste differenze regionali derivano dalla posizione geografica,
dalla facilità di accesso alle risorse ittiche, e all'entità delle influenze
culturali che una regione ha vissuto nella sua storia. Basta pensare al cous
cous di pesce di Trapani, il caciucco alla livornese sul tirreno, le acciughe
al verde in Piemonte, dove di acciughe non ve ne sono, ma erano tra gli
alimenti che transitavano dal mare verso la pianura lungo le Vie del Sale. La nostra penisola è
ricca di questi esempi di ricette derivanti da contaminazioni culturali o da
scambi commerciali e la lista potrebbe continuare per pagine e pagine.
Oggi
però, insieme alla figura del pescatore, questa gran diversità sta scomparendo,
sia perché alcune specie sono ormai minacciate sia perché, non avendo mercato,
altre specie spariscono dei banchi ittici in Italia come nel resto del mondo”.
Da queste riflessioni nasce Slow Fish e una molteplicità di
iniziative, firmate Slow Food, per diffondere la cultura di una pesca e una
cucina di mare ‘sostenibile’, alla riscoperta di specie gustose e spesso anche
economicamente più accessibili.
È il caso del palamita.