lunedì 26 marzo 2012

Il palamita: un pesce 'buono, pulito e giusto'


“Quasi 7500 chilometri di litorali marini, 6000 di fiumi lunghi oltre i 100 chilometri, un dedalo di torrenti e di ruscelli, 2700 kmq di laghi, una superficie difficile da quantificare di lagune, stagni e lanche.
Bastano queste nude cifre per capire che cos'è, in Italia, la vita legata all'acqua.

La cultura gastronomica italiana legata al pesce ha secoli di storia nella nostra penisola/affonda le sue radici nella storia. Basti pensare al garum, una salsa di interiora di pesce famosa ai tempi dell'antica Roma che prevedeva l'impiego di sgombri, sardine e acciughe.

Gran parte della nostra cucina è imperniata su piatti di pesce. Esiste a livello regionale una grande varietà di pesci utilizzati e tecniche differenti per cucinarli. Queste differenze regionali derivano dalla posizione geografica, dalla facilità di accesso alle risorse ittiche, e all'entità delle influenze culturali che una regione ha vissuto nella sua storia. Basta pensare al cous cous di pesce di Trapani, il caciucco alla livornese sul tirreno, le acciughe al verde in Piemonte, dove di acciughe non ve ne sono, ma erano tra gli alimenti che transitavano dal mare verso la pianura lungo le Vie del Sale. La nostra penisola è ricca di questi esempi di ricette derivanti da contaminazioni culturali o da scambi commerciali e la lista potrebbe continuare per pagine e pagine.

Oggi però, insieme alla figura del pescatore, questa gran diversità sta scomparendo, sia perché alcune specie sono ormai minacciate sia perché, non avendo mercato, altre specie spariscono dei banchi ittici in Italia come nel resto del mondo”.


Da queste riflessioni nasce Slow Fish e una molteplicità di iniziative, firmate Slow Food, per diffondere la cultura di una pesca e una cucina di mare ‘sostenibile’, alla riscoperta di specie gustose e spesso anche economicamente più accessibili.
È il caso del palamita.